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Trapani - La Storia




STUDIO DI TRAPANI DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI
ITINERARI ARTISTICO CULTURALI

CAPITOLO 4
Trapani tra 400 e 500

Topografia e Toponomastica
Il cinquecento

Persa, sotto la dominazione aragonese, la propria indipendenza la Sicilia vede nel Quattrocento l'affermarsi del Viceregno iniziato nel 1409 con la regina Bianca di Navarra e configuratosi definitivamente nel 1412 col la nomina dell'infante di Castiglia: Giovanni conte di Pegnafiel.
Durante questo governo la Sicilia, nonostante mantenne invariate la bandiera, il Parlamento, la moneta e la flotta, risentiva ancora le conseguenze delle guerre contro gli angioini; le comunicazioni erano difficili, la coltivazione dei campi si era ristretta solo vicino al nucleo abitato e la popolazione era diminuita.
A rappresentare la Sicilia era il Parlamento che si presentava diviso in tre bracci: il braccio militare (rappresentato dai baroni), il braccio ecclesiastico (rappresentato dal vescovi e abati), il braccio demaniale (rappresentato dagli ambasciatori di tutte le città regie o libere); il Parlamento proponeva le leggi e votava i donativi cioè i tributi da offrire all'Università per la Corona.
Accanto al viceré si trovavano il Sacro collegio costituito dai membri della magna Curia e del real Patrimonio; il Tesoriere e il Maestro portulano.
In campo giudiziario le magistrature più importanti erano La magna Curia, che si occupava delle cause civili e criminali, e il real Patrimonio che si occupava delle questioni tributarie.
La prima era composta da tre giudici, dal luogotenente, del gran giustiziere, dal presidente e dall'avvocato fiscale; il secondo invece dal conservatore, dal consultore, da quattro maestri razionali e da un giudice; alle loro decisioni si poteva opporre solo la Sacra regia, cioè il re o il viceré, quindi esse non godevano di assoluta indipendenza.
Durante tutto il Quattrocento si susseguirono nella reggenza della Sicilia vari viceré tra cui: nel 1412 l'Infante di Castiglia Giovanni; nel 1416 Domenico Ram e Antonio Cadorna, mandati dal re Alfonzo d'Aragona detto il “Magnanimo” successore di Ferdinando.
Sotto il loro vicariato fu emanato un decreto che escludeva gli stranieri dai benefici di cui godeva al Sicilia; dopo un susseguirsi di altri viceré nel 1477 fu delegato Giovanni Cadorna, che durante la sua reggenza impose nuovi dazi, dai quali ricavava il denaro per fortificare le città sicule continuamente attaccate dai pirati e dai Turchi; nel 1479, la carica fu coperta da Gaspare de Spes.
In questo periodo l'Isola fu incessantemente attaccata dai pirati in particolare nel 1480 i corsari genovesi giunsero a Trapani distruggendo le tonnare e devastando la città.
Alfonzo, ancora a capo della Sicilia riuscì a conquistare Napoli, e quindi a riunificare il regno, ma alla sua morte i sui sforzi risultarono invani infatti Napoli passò nelle mani di un figlio illegittimo, mentre gli altri possedimenti passarono al fratello Giovanni.
Il secolo si concluse sotto il regno di Ferdinando il Cattolico, il quale sposando Isabella di Castiglia, unificò la Spagna.
La mattanza A causa della politica espansionistica spagnola i traffici si spostarono dal Mediterraneo per concentrarsi maggiormente verso l'Atlantico.
Di conseguenza a Trapani con il dirottamento dei traffici marittimi l'attività commerciale diminuì, i nobili e la borghesia pensarono allora di trasformare la banchina, in porto industriale; e per incrementare ulteriormente l'attività commerciale costruirono numerose saline, svilupparono la pesca del tonno e incrementarono la lavorazione del corallo.
Grazie alla vicinanza con il porto spagnolo Trapani divenne una città fiorente in cui i ricchi mercanti stranieri, che diventarono la classe dominante nell'economia cittadina, investivano soprattutto nell'industria delle saline e nella pesca del tonno e del corallo.
Trapani si distinse anche in campo militare, difendendosi valorosamente dall'invasione dei Turchi e nel 1443 acquistò l'appellativo di civitas.
Nel campo delle arti vediamo un passaggio importante, dal Medioevo al Rinascimento, in cui si distinsero Antonello da Messina nella pittura e Antonello Gagini nella scultura, inoltre si svilupparono l'oreficeria, la miniatura, l'incisione e l'intaglio, dai quali presero forma testimonianze preziose.
Altrettante ne sono state ricavate dalla lavorazione dell'argento, uno dei materiali più utilizzati per la realizzazione di opere magnifiche, che entravano a far parte sia di collezioni laiche che religiose.
Nella mitologia, l'argento era il metallo sacro attribuito alla Dea Diana “per il suo fresco e delicato splendore lunare”.
I mastri argentieri trapanesi, insieme agli scultori, formarono numerose botteghe, che rappresentavano delle vere e proprie scuole sotto la guida di un maestro, queste si trovavano nelle strade omonime, ovvero via Argentieri e via Scultori.
Essi lavoravano giorno e notte seguendo principalmente due fasi: la fusione e la lavorazione a freddo.
Dopo aver preparato il modello di legno o di cera dell'oggetto, lo rivestivano con uno strato di terra da fonderia ed infine versavano il metallo fuso nella forma; quando l'argento si raffreddava lo modellavano con stampi, laminatoi, martelli, successivamente stiravano l'argento e con le martellette lo sbalzavano.
CALICE BAVERADopo aver ottenuto la forma desiderata il maestro iniziava l'opera di rifinitura, cioè la cesellatura, incisione, zigrinatura, brunatura ecc; infine per impreziosire di più il metallo i maestri utilizzavano il corallo, creando così splendidi oggetti ornamentali.
Nel XIII sec. Federico II di Svevia volle diffondere le prime norme per la fabbricazione degli oggetti preziosi.
Molto apprezzato fu l'orefice anche se la sua bottega fu posta sotto il controllo della magistratura cittadina.
A seguito della legge ogni corporazione istituì il proprio marchio di controllo che divenne obbligatorio per tutti i maestri d'arte, al fine di garantire al committente la qualità della materia.
Il marchio della Corporazione degli argentieri trapanesi era formato da tre lettere “DVI” sormontate dalla falce e dalla Corona.
Così come l'argento anche l'oro proveniente dall'estero doveva essere bollato con il marchio della città.
Per quanto riguarda l'attività argentiera dell'XV sec. non si hanno molte notizie, probabilmente i maestri trapanesi appresero l'arte dalla Comunità ebraica anche se essi in seguito furono diffidati e posto il divieto di lavorare oggetti destinati alla Chiesa.
Come ogni Corporazione artigiana, anche la maestranza dagli argentieri si assumeva il compito di curare e condurre in processione il proprio gruppo dei Misteri, nel loro caso raffigurante “la Partenza”.
Alcuni nomi che si distinsero tra il 1425 e il 1454 sono : il giudeo Bulchayran Ballo, Bernardo Tintureri, che confezionò una croce per i preti della chiesa di S. Agostino; fratello di Bernardo fu Giovanni che eseguì un calice in argento con patena dorata.
Nel XVI sec. spiccano i nomi degli orafi Paolo Chirico e Paolo Ribattino.
Fra gli argentieri del XVII sec. troviamo invece: Diego Candino, che eseguì un ostensorio in argento per il cardinale Spinola; Giuseppe Vivona, che lavorò due lampadari in argento per la chiesa della Badia Nuova di Trapani; Vincenzo Bonaiuto, autore della statua di S. Alberto custodita nella basilica-santuario dell'Annunziata.
Nel XVII sec. furono realizzati i paleotti in argento per gli altari della Madonna di Trapani.
Del XVIII sec. sono i maestri: Costadura, che rivestì in oro due angeli scolpiti in legno; Nicola Liotta, che realizzò in argento una bussolotta per il santo Viatico; Geronimo Daidone; Gabriele Bertolino.
Molti di questi maestri impreziosirono la loro opere con un altro elemento importante che esaltò le categorie dei pescatori, dei lavoratori e degli artisti: il corallo.
Fin dal tempo degli arabi i pescatori, tramite il sistema introdotto dai Fenici, pescavano il corallo che arricchiva il nostro mare.
Durante la crisi commerciale del XIII sec. la scoperta di nuovi banchi corallini fece trovare un ripiego ai trapanesi nell'attività del corallo.
I corallari erano riuniti nella Corporazione dei “Pescatori della marina piccola del palazzo” che si riuniva nell'ex chiesa di S. Lucia, essi risiedevano nell'odierna via dei Corallai.
Solitamente essi partivano annualmente nella prima decade del mese di maggio e rientravano nel mese di settembre con le barche stracolme di prezioso corallo pescato.
Raccolta del CoralloIl corallo di solito era raccolto nei pressi della Isole Egadi, vicino a Bonagia, San Vito Lo Capo e Castellammare del Golfo, mentre più tardi i pescatori si spinsero verso la Tunisia e nel mare di Lipari e di Sardegna.
L'attrezzo utilizzato per la pesca del corallo era volgarmente chiamato
“ordegno”, questo era formato da una croce di legno, ad ogni estremità di questa c'erano attaccate delle reti e al centro una grossa pietra; l'attrezzo veniva calato in fondo al mare e veniva trascinavano pian piano strappando dal fondo il corallo che rimaneva imprigionato nelle reti.
I pescatori allineavano poi, le loro barche nel tratto che dalla porte Serisso andava al forte di S. Francesco, dopodiché essi scaricavano il carico che veniva distinto in due colori: il “carbonetto” di colore rosso cupo e lo “squallo”, più pregiato, di colore rosso pallido, poi il corallo veniva venduto ai fabbricanti e agli artisti.
Presso i fabbricanti (I primi furono ebrei), il corallo veniva pulito e lavorato, e poi venduto agli orefici e alle ricamatrici, che realizzavano paramenti sacri.
Nel 500 spicca il nome di un meccanico trapanese, Antonio Ciminello che inventò il bulino, uno strumento utilizzato per l'incisione del corallo.
Grazie all'invenzione di questo strumento il corallo fu utilizzato nella produzione di preziose opere d'arte come Madonne, Santi, Crocifissi ecc...
La maggior parte dei maestri corallari si dedicarono alla lavorazione dell'avorio, dell'alabastro, della conchiglia, delle pietre dure come i cammei.
Ancora oggi la lavorazione del corallo rappresenta un mestiere antico che non vuole morire.

Topografia e Toponomastica

Diminuita nel 1374, a causa di una grave carestia, la popolazione trapanese incominciò ad aumentare e alla fine del XV sec. era gia arrivata a 5.000 abitanti.
Originariamente di forma quadrata Trapani acquistò nel corso dei secoli una forma irregolare; le mura, che definivano i suoi confini, correvano lungo l'attuale via XXX Gennaio, dove la cinta muraria la separava dall'entroterra, da quest'ultima era divisa grazie ad un fossato e poco dopo da un canale navigabile che univa il mare di tramontana con quello di mezzogiorno.
Stemma della Città di TrapaniDalle mura poi si estendeva un promontorio che successivamente, nel XIII sec., venne colmato per la costruzione di due grandi arterie, la Rua Nova (attuale via Garibaldi) a nord e la Rua Grande o Magna (attuale corso Vittorio Emanuele) ad Ovest.
La difesa della città era poi affidata alle cinque torri, rappresentate anche nello stemma del Comune, esse erano: Torre Pali, Torre Vecchia, Torre di Porta Oscura, Torre Peliade (Colombaia) e la Torre del Castello di Terra.
L'accesso all'esterno era concesso attraverso le porte che si dislocavano lungo il percorso delle mura, a levante: Porta nuova (quasi di fronte alla via Mercè) e Porta vecchia (vicino il Castello di Terra), munite di ponte levatoio; a mezzogiorno: Porta grande “ di lu Casalicchiu” (denominata poi Porta Gallo), Porta di “lu Palazzoctu” (chiamata poi Maria SS. delle Grazie o dei Pescatori), Porta di “lu Comuni” (all'ingresso di via Torrearsa), Porta Regina (chiamata anche Porta Lucadella), Porta di “S. Antonio di lu portu” (attuale arco dei Pescatori), situata vicino la dogana, e Porta Serisso; a ponente: Porta di “la Turri di S. Antonio di lu Palazzu” (alla fine di corso Vittorio Emanuele); a tramontana: Porta “Putichella” (di fronte Porta Serisso), Porta di “lu Pannizzaru” (tra l'ex chiesa di S. Giovanni e quella del Carmine), Porta di “la Bucchiria” (chiamata Porta Felice, a piazza Mercato pesce).
Re Alfonzo, a causa delle frequenti incursioni barbariche ordinò la chiusura di tutte le porte sia di giorno che di notte.
La città si presentava divisa in tre rioni: Rione del Casalicchio, Rione del Palazzo, e Rione di Mezzo, questi erano a loro volta divisi in contrade.
Fuori dalle mura si trovavano numerosi quartieri tra cui: Fontanelle, Pizzolungo, Rigalecta, Dattilo, Ruccazzu, Inici, e inoltre a levante si trovavano orti e giardini e il cimitero degli Ebrei, situato dove oggi si trova il palazzo della Provincia.
Nel Quattrocento sorsero cinque chiese, un convento, e quattro cappelle.
La Confraternita dei lucchesi costruì nell'area dell'ex Consolato francese la chiesa dedicata all'Arcangelo, l'edificio sacro appartenuto precedentemente alla Compagnia del Gesù, subì alla fine del 600 un ingrandimento e vi furono conservati i gruppi dei Misteri.
Quasi contemporaneamente sorsero le chiese: di S. Maria di Monserrato, sita in via Garibaldi, la chiesa di S. Margherita, sita in via delle Orfane, la chiesa dedicata a S. Giuliano, che nel 500 prese il nome di Maria SS. della Luce, e la chiesa edificata dai padri francescani osservanti.
Per le cappelle invece troviamo quelle dedicate a S. Giorgio (nei pressi del Castello di terra), alla S. Croce (fuori le mura), a S. Giacomo Xitta (nella via omonima) e a S. Maria della Gurgia (tra la Carrara e via Aperta).

Il Cinquecento


Morto Ferdinando il Cattolico (1516) in Sicilia il trono passò al nipote Carlo V che si trovò a governare un vastissimo impero sino al 1556 quando subentrò Filippo II (1556-1598).
La politica spagnola fu caratterizzata da una tendenza verso la conservazione del regno, i vicerè ebbero il compito di mantenere tranquillo il viceregno, tutelando contemporaneamente i privilegi reali; essi si occuparono inoltre di curare le difese del territorio a causa delle frequenti incursioni da parte dei corsari e dei Turchi.
Il 500 vide inoltre il Mediterraneo passare in secondo piano rispetto all'Atlantico, la Sicilia e soprattutto Trapani, come città portuale, iniziò la sua parabola discendente cedendo prestigio al porto di Palermo, più grande e meglio organizzato.
Alla riduzione dell'economia siciliana, dovuta alla politica spagnola, che ne impedì l'espansione, si contrappose tuttavia un generale benessere economico della città, la quale si arricchì grazie al corallo e alle industrie del sale e della pesca.
Per risollevare le sorti dell'economia cittadina si ricorse alle industrie tradizionali del tonno e del sale, l'incentivazione delle saline determinò inoltre la fondazione di Xitta, borgo sorto nel 1504 per la residenza della manodopera impegnata nella lavorazione del sale.
Per incrementare l'economia oltre ai dazi, riscossi dallo Stato attraverso le Secrezie (organi della regia Corte, che amministravano il patrimonio demaniale, soprintendevano a tutta al materia dei tributi e appaltavano gabelle e dogane) furono istituite le gabelle, che venivano imposte dall'Università per eliminare le spese sia straordinarie che odierne e, adempiendo agli obblighi delle “soggiogazioni”, ovvero i prestiti a cui la magistratura era costretta a ricorrere in caso di rifornimenti per un imminente periodo di carestia; molti di questi prestiti erano offerti dalle chiese, dalle famiglie nobili o dai conventi.
A causa della cattiva gestione del denaro da parte dei rappresentanti e per le ingiustizie delle tassazioni, i trapanesi denunciarono soprusi ed evasioni, ma a nulla valsero le proteste.
Il governo infatti, decise di intervenire con la forza così, quando il popolo insorse nel XVIII sec, il vicerè di Lignè fece soffocare nel sangue la ribellione.
La precaria situazione agraria fu ulteriormente aggravata in seguito la chiamata alle armi di gran parte della popolazione; particolarmente gravi furono le carestie di quegli anni che seminarono numerose vittime nella città.
Le frequenti incursioni dei pirati e dei Turchi produssero, nel corso del 500, un prevalente interesse nel rafforzare ulteriormente l'assetto delle città e delle strutture difensive del territorio.
Proprio per questo fu costruito un efficace sistema di torri di avvistamento lungo tutto il litorale dell'Isola (punto di partenza era la torre della Colombaia) che consentisse di diffondere un immediato allarme in caso di attacco.
Carlo V, nell'agosto del 1535, definì Trapani “chiave del regno” e dispose che fosse ben fortificata e custodita; il reale sostò a Trapani circa due settimane con parte della sua flotta e alloggiò nel palazzo dei Chiaramonte, l'odierno edificio laterale della chiesa di san Nicola dove fu collocata un'effigie marmorea dell'imperatore sormontata dalla corona.
La ristrutturazione delle difese di Trapani si concentrò principalmente sul castello di Terra, sulla cinta muraria con particolare riguardo al fronte di levante rivolto verso la terraferma, e sull'avamposto a mare della Colombaia.
Nel 1518 il Moncada venne rimosso dalla carica e gli successe il viceré Pignatelli che iniziò le prime opere con rudimentali bastioni costituiti da terra e fasci di legna.
In quegli anni fu smantellata l'antica chiesa di S. Antonio del Mare, facile preda del nemico e punto privilegiato in caso di assedio.
I lavori di fortificazione della città iniziarono dalla parte di terra, dove venne costruita davanti alle vecchie mura ormai demolite, una cortina terrapienata che collegava il nucleo del castello di Terra al bastione dell'Impossibile, chiamato così per le difficoltà che si incontrarono durante la fase esecutiva dei lavori a causa delle pessime caratteristiche del terreno di fondazione.
MURA DI TRAMONTANAA tramontana fu creata una lunghissima scogliera che fungeva da barriera contro un eccessivo avvicinamento nemico.
Gran parte delle strutture difensive della città furono ideate dall'ingegnere Ferramolino, inviato dal viceré Pignatelli, la cui opera continuò anche sotto il viceré Gonzaga (1535-1547).
Allo stesso ingegnere appartiene il progetto di un largo fossato che separava nettamente la città dalla terraferma e dei due grosse torri merlate a difesa del contromuro del castello, sempre a lui si deve la ricostruzione del muro di tramontana.
La sostituzione dei rudimentali baluardi in legno, eretti pochi anni prima, con i nuovi bastioni in muratura completava il disegno difensivo.
Gonzaga venne sostituito dal viceré Giovanni de Vega, il quale fece completare lo scavo del fossato di levante e costruire il ponte per consentire l'accesso alla città; fu quindi necessario aprire una nuova porta in corrispondenza del ponte, mentre la vecchia entrata, ossia la porta Austriaca, (detta così perché vi transitava l'imperatore Carlo V) fu utilizzata per il passaggio dei carri in periodo di vendemmia.
De Vega lasciò il governo nel 1557 a Giovanni Della Cerda che governò sotto Filippo II, figlio di Carlo V abdicato.
Il governo di Della Cerda fu afflitto dalle carestie, egli ebbe inoltre il torto di dare troppa libertà ai suoi ministri che ne approfittarono per governare dispoticamente e fanaticamente.
Si avvicendarono poi nell'alto incarico vicereale: Garzia de Toledo (1565-1568) e Ferrante Avalos de Aquino (1568-1571).
Quest'ultimo aveva disposto un singolare progetto di ingrandimento della città che prevedeva un ampliamento dell'area urbana ma che però non ebbe attuazione per l'eccessiva spesa che avrebbe comportato.
Nell'anno 1571 si ebbe la battaglia di Lepanto che segnò un evento importante per il mondo cristiano.
Nel 1573, per ordine di Filippo II, don Giovanni d'Austria, suo figlio, organizzò una spedizione contro Tunisi e partendo da Messina passò da Marsala dove ordinò di colmare il porto per renderlo inaccessibile ai Turchi.
Se la Sicilia riuscì ad evitare l'invasione ottomana non poté fare altrettanto contro il flagello della peste che l'afflisse negli anni 1575-1576.
L'annoso problema della difesa della città venne ripreso dal vicerè Diego Enriques, (1585-1591) il quale inviò a Trapani il prefetto reale l'ingegner Vincenzo Locadello, che apportò una radicale modifica della struttura difensiva orientale prosciugando il fossato che per altro risultava già per la maggior parte interrato, per cui venne rimosso il ponte con la relativa porta e fu riaperto l'antico ingresso che prese il nome di Porta d'Austria.
Lo stesso viceré ebbe il merito anche di aver superato con diligente e solerte opera la carestia del 1586 poiché provvide in tempo a creare riserve di viveri e a combattere il mercato nero del grano.
All'imperatore Filippo II successe, nel 1598, il figlio Filippo III.
Trapani nel 500 dovette contare non meno di 10.000-12.000 abitanti, tale aumento demografico fu dovuto al processo di industrializzazione e alla presenza di molti militari.
Questo favorì di conseguenza l'incremento edilizio: nuove costruzioni sacre e civili sorsero nei quartieri del Palazzo (San Lorenzo) e di Mezzo (San Nicola); sorse un altro fondaco in contrada detta dell'Orologio (nei pressi di palazzo Cavarretta).
Per comodità dei cittadini si aprì a mezzogiorno un'altra porta detta “porta maris o di san Giacomo della disciplina” (dove sorge l'attuale edificio della Dogana) che però fu considerata superflua in quanto indeboliva la difesa della città.
Una fedele testimonianza del forte assetto di Trapani alla fine del 500 è una carta conservata nell'archivio di Simancas.

DREPANUM

Essa raffigura il canale che divideva l'abitato dalla terraferma e la cinta di muraria con i nuovi bastioni.
Comunque la veduta di Trapani del Braun, stampata ad Amsterdam nel 1585, si inserisce nella cultura dei grandi atlanti cartografici che si andavano diffondendo in quel periodo.
Questa carta ha costituito fino alla metà del Settecento un modello di repliche.
LA CITTÀ DI TRAPANI IN SICILIASempre degli ultimi anni del 500 è la pianta prospettica intitolata La Città di Trapani in Sicilia stampata da Giovanni Orlandi, essa raffigura ancora il ponte che collegava la città alla terraferma, smantellato poi durante il viceregno del conte d'Alba de Liste in seguito al prosciugamento del canale.
La pianta, corredata da una leggenda in dialetto, che fa pensare ad un disegnatore locale, rappresenta il primo documento cartografico con indicazioni toponomastiche.
I caratteri stilistici delle realizzazioni cinquecentesche della città presentano un linguaggio ancora legato alle influenze spagnole.
A Trapani come nel resto della Sicilia, i modelli del Rinascimento italiano giunsero in ritardo; testimonianza ne è il palazzo Ciambra con le bugne diamantate che rivestono le pareti della torre, nelle finestre e nei portali riccamente decorati.
Il palazzo, chiamato comunemente la Giudecca perché sito nel quartiere degli ebre, presenta anche timidi elementi Rinascimentali.
L'attenuarsi degli influssi spagnoli viene documentato dal prospetto del palazzo Nobili, in piazza S. Francesco di Paola, il quale mostra l'adesione allo stile del Rinascimento italiano.
Delle costruzioni civili cinquecentesche restano prevalentemente le architetture dei portali riconducibili ad un unico schema basato su un'ampia cornice, a tutto sesto con differenti modanature, posta ad inquadrare il portale tramite una raggera di lunghi conci, ora lisci ora cuneiformi.
Tra i palazzi nobili sorti in questo secolo ricordiamo quello della famiglia Staiti, in piazza Matteotti, ed il palazzo del barone Xirinda, all'inizio di via Garibaldi.
Anche nell'architettura religiosa si trovano elementi di puro Rinascimento ma esclusivamente nella parte decorativa.
Risponde a questi canoni la cappella della Trinità, nel monastero della Badia Grande, nella cappella dei Marinai del santuario dell'Annunziata e nella cappella di S. Maria degli Angeli in S. Maria di Gesù.
La Chiesa del Carmine mostra invece una netta adesione al linguaggio rinascimentale.
Molti furono gli ordini religiosi che nel corso del 500 giunsero in città: nella prima metà del secolo i padri francescani osservanti già stabilitisi nell'antica chiesa di S. Maria dei Greci ebbero poi l'ordine di abbandonare quel luogo poiché l'area sarebbe stata occupata dalle nuove strutture militari; in cambio ai padri vennero date le case appartenute al consolato dei veneziani.
Nella zona dei padri zoccolanti fu eretta la caserma degli Spagnoli dimora fissa dei soldati.
I padri cappuccini giunsero invece a Trapani nella metà del secolo e si stabilirono fuori le mura in un convento detto “Luogo Vecchio”.
Lontano dal centro si erigeva il convento di Martogna appartenente alla compagnia degli scalzi al seguito di padre Giacomo da Gubbio, questo fu sottoposto poi alla regola del terz'ordine francescano.
CHIESA DELLA BADIA GRANDEGli stessi frati occuparono inoltre alcune case dell'oratorio nei pressi dell'ospedale S. Antonio costruito durante il periodo delle epidemie e intitolato a S. Rocco.
Sempre per iniziativa di Giacomo da Gubbio vennero costruite in città alcune strutture assistenziali femminili: il monastero della SS. Trinità, detto Badia Grande, esso era destinato alle vedove che diventavano suore di terz'ordine francescano; una casa di Carità per accogliere ed educare le orfanelle; il conservatorio delle Convertine, destinato alla redenzione delle meretrici.
Accomunati da un unica missione i tre edifici si trovavano nel quartiere di Mezzo, nei pressi del convento di S. Domenico.
Nella seconda metà del Cinquecento arrivarono a Trapani i frati francescani che si stabilirono nelle case vicine alla chiesa di S. Michele, e nell'ultimo decennio arrivarono i padri carmelitani che iniziarono a costruire una gancia vicino alla porta Felice.
Tra le cappelle e chiese che sorsero a Trapani nel Cinquecento troviamo: S. Pancrazio, dedicata poi a S. Giuseppe, essa sorgeva di fronte all'attuale biblioteca Fardelliana; S. Eligio, sita nell'omonima strada; S. Nicolò da Tolentino, ubicata nell'odierna piazza della Repubblica; S. Spirito, eretta tra via Libertà e corso Vittorio Emanuele; S. Antonio adiacente all'omonimo ospedale; Maria SS. di Custonaci, ancora oggi la troviamo sull'omonima strada; S. Matteo, in via Barone Sieri Pepoli, oggi adibita a sala cinematografica.
Nel XVI sec. furono potenziate le strutture di servizio, sopratutto quelle assistenziali; infatti data al vicinanza di Trapani alle coste africane, essa ebbe l'incarico, durante la guerra di Tunisi, di accogliere e assistere i soldati feriti, di conseguenza l'ospedale di S. Antonio fu allargato e quello di S. Sebastiano fu dotato di magazzini.
Nel 1542 fu creata la costituzione del Monte di Pietà, ideata per soccorrere i bisognosi della città, essa aveva sede in alcuni locali dell'ospedale di S. Antonio.

 

Trapani - La Storia




STUDIO DI TRAPANI DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI
ITINERARI ARTISTICO CULTURALI

CAPITOLO 4
Trapani tra 400 e 500

Topografia e Toponomastica
Il cinquecento

Persa, sotto la dominazione aragonese, la propria indipendenza la Sicilia vede nel Quattrocento l'affermarsi del Viceregno iniziato nel 1409 con la regina Bianca di Navarra e configuratosi definitivamente nel 1412 col la nomina dell'infante di Castiglia: Giovanni conte di Pegnafiel.
Durante questo governo la Sicilia, nonostante mantenne invariate la bandiera, il Parlamento, la moneta e la flotta, risentiva ancora le conseguenze delle guerre contro gli angioini; le comunicazioni erano difficili, la coltivazione dei campi si era ristretta solo vicino al nucleo abitato e la popolazione era diminuita.
A rappresentare la Sicilia era il Parlamento che si presentava diviso in tre bracci: il braccio militare (rappresentato dai baroni), il braccio ecclesiastico (rappresentato dal vescovi e abati), il braccio demaniale (rappresentato dagli ambasciatori di tutte le città regie o libere); il Parlamento proponeva le leggi e votava i donativi cioè i tributi da offrire all'Università per la Corona.
Accanto al viceré si trovavano il Sacro collegio costituito dai membri della magna Curia e del real Patrimonio; il Tesoriere e il Maestro portulano.
In campo giudiziario le magistrature più importanti erano La magna Curia, che si occupava delle cause civili e criminali, e il real Patrimonio che si occupava delle questioni tributarie.
La prima era composta da tre giudici, dal luogotenente, del gran giustiziere, dal presidente e dall'avvocato fiscale; il secondo invece dal conservatore, dal consultore, da quattro maestri razionali e da un giudice; alle loro decisioni si poteva opporre solo la Sacra regia, cioè il re o il viceré, quindi esse non godevano di assoluta indipendenza.
Durante tutto il Quattrocento si susseguirono nella reggenza della Sicilia vari viceré tra cui: nel 1412 l'Infante di Castiglia Giovanni; nel 1416 Domenico Ram e Antonio Cadorna, mandati dal re Alfonzo d'Aragona detto il “Magnanimo” successore di Ferdinando.
Sotto il loro vicariato fu emanato un decreto che escludeva gli stranieri dai benefici di cui godeva al Sicilia; dopo un susseguirsi di altri viceré nel 1477 fu delegato Giovanni Cadorna, che durante la sua reggenza impose nuovi dazi, dai quali ricavava il denaro per fortificare le città sicule continuamente attaccate dai pirati e dai Turchi; nel 1479, la carica fu coperta da Gaspare de Spes.
In questo periodo l'Isola fu incessantemente attaccata dai pirati in particolare nel 1480 i corsari genovesi giunsero a Trapani distruggendo le tonnare e devastando la città.
Alfonzo, ancora a capo della Sicilia riuscì a conquistare Napoli, e quindi a riunificare il regno, ma alla sua morte i sui sforzi risultarono invani infatti Napoli passò nelle mani di un figlio illegittimo, mentre gli altri possedimenti passarono al fratello Giovanni.
Il secolo si concluse sotto il regno di Ferdinando il Cattolico, il quale sposando Isabella di Castiglia, unificò la Spagna.
La mattanza A causa della politica espansionistica spagnola i traffici si spostarono dal Mediterraneo per concentrarsi maggiormente verso l'Atlantico.
Di conseguenza a Trapani con il dirottamento dei traffici marittimi l'attività commerciale diminuì, i nobili e la borghesia pensarono allora di trasformare la banchina, in porto industriale; e per incrementare ulteriormente l'attività commerciale costruirono numerose saline, svilupparono la pesca del tonno e incrementarono la lavorazione del corallo.
Grazie alla vicinanza con il porto spagnolo Trapani divenne una città fiorente in cui i ricchi mercanti stranieri, che diventarono la classe dominante nell'economia cittadina, investivano soprattutto nell'industria delle saline e nella pesca del tonno e del corallo.
Trapani si distinse anche in campo militare, difendendosi valorosamente dall'invasione dei Turchi e nel 1443 acquistò l'appellativo di civitas.
Nel campo delle arti vediamo un passaggio importante, dal Medioevo al Rinascimento, in cui si distinsero Antonello da Messina nella pittura e Antonello Gagini nella scultura, inoltre si svilupparono l'oreficeria, la miniatura, l'incisione e l'intaglio, dai quali presero forma testimonianze preziose.
Altrettante ne sono state ricavate dalla lavorazione dell'argento, uno dei materiali più utilizzati per la realizzazione di opere magnifiche, che entravano a far parte sia di collezioni laiche che religiose.
Nella mitologia, l'argento era il metallo sacro attribuito alla Dea Diana “per il suo fresco e delicato splendore lunare”.
I mastri argentieri trapanesi, insieme agli scultori, formarono numerose botteghe, che rappresentavano delle vere e proprie scuole sotto la guida di un maestro, queste si trovavano nelle strade omonime, ovvero via Argentieri e via Scultori.
Essi lavoravano giorno e notte seguendo principalmente due fasi: la fusione e la lavorazione a freddo.
Dopo aver preparato il modello di legno o di cera dell'oggetto, lo rivestivano con uno strato di terra da fonderia ed infine versavano il metallo fuso nella forma; quando l'argento si raffreddava lo modellavano con stampi, laminatoi, martelli, successivamente stiravano l'argento e con le martellette lo sbalzavano.
CALICE BAVERADopo aver ottenuto la forma desiderata il maestro iniziava l'opera di rifinitura, cioè la cesellatura, incisione, zigrinatura, brunatura ecc; infine per impreziosire di più il metallo i maestri utilizzavano il corallo, creando così splendidi oggetti ornamentali.
Nel XIII sec. Federico II di Svevia volle diffondere le prime norme per la fabbricazione degli oggetti preziosi.
Molto apprezzato fu l'orefice anche se la sua bottega fu posta sotto il controllo della magistratura cittadina.
A seguito della legge ogni corporazione istituì il proprio marchio di controllo che divenne obbligatorio per tutti i maestri d'arte, al fine di garantire al committente la qualità della materia.
Il marchio della Corporazione degli argentieri trapanesi era formato da tre lettere “DVI” sormontate dalla falce e dalla Corona.
Così come l'argento anche l'oro proveniente dall'estero doveva essere bollato con il marchio della città.
Per quanto riguarda l'attività argentiera dell'XV sec. non si hanno molte notizie, probabilmente i maestri trapanesi appresero l'arte dalla Comunità ebraica anche se essi in seguito furono diffidati e posto il divieto di lavorare oggetti destinati alla Chiesa.
Come ogni Corporazione artigiana, anche la maestranza dagli argentieri si assumeva il compito di curare e condurre in processione il proprio gruppo dei Misteri, nel loro caso raffigurante “la Partenza”.
Alcuni nomi che si distinsero tra il 1425 e il 1454 sono : il giudeo Bulchayran Ballo, Bernardo Tintureri, che confezionò una croce per i preti della chiesa di S. Agostino; fratello di Bernardo fu Giovanni che eseguì un calice in argento con patena dorata.
Nel XVI sec. spiccano i nomi degli orafi Paolo Chirico e Paolo Ribattino.
Fra gli argentieri del XVII sec. troviamo invece: Diego Candino, che eseguì un ostensorio in argento per il cardinale Spinola; Giuseppe Vivona, che lavorò due lampadari in argento per la chiesa della Badia Nuova di Trapani; Vincenzo Bonaiuto, autore della statua di S. Alberto custodita nella basilica-santuario dell'Annunziata.
Nel XVII sec. furono realizzati i paleotti in argento per gli altari della Madonna di Trapani.
Del XVIII sec. sono i maestri: Costadura, che rivestì in oro due angeli scolpiti in legno; Nicola Liotta, che realizzò in argento una bussolotta per il santo Viatico; Geronimo Daidone; Gabriele Bertolino.
Molti di questi maestri impreziosirono la loro opere con un altro elemento importante che esaltò le categorie dei pescatori, dei lavoratori e degli artisti: il corallo.
Fin dal tempo degli arabi i pescatori, tramite il sistema introdotto dai Fenici, pescavano il corallo che arricchiva il nostro mare.
Durante la crisi commerciale del XIII sec. la scoperta di nuovi banchi corallini fece trovare un ripiego ai trapanesi nell'attività del corallo.
I corallari erano riuniti nella Corporazione dei “Pescatori della marina piccola del palazzo” che si riuniva nell'ex chiesa di S. Lucia, essi risiedevano nell'odierna via dei Corallai.
Solitamente essi partivano annualmente nella prima decade del mese di maggio e rientravano nel mese di settembre con le barche stracolme di prezioso corallo pescato.
Raccolta del CoralloIl corallo di solito era raccolto nei pressi della Isole Egadi, vicino a Bonagia, San Vito Lo Capo e Castellammare del Golfo, mentre più tardi i pescatori si spinsero verso la Tunisia e nel mare di Lipari e di Sardegna.
L'attrezzo utilizzato per la pesca del corallo era volgarmente chiamato
“ordegno”, questo era formato da una croce di legno, ad ogni estremità di questa c'erano attaccate delle reti e al centro una grossa pietra; l'attrezzo veniva calato in fondo al mare e veniva trascinavano pian piano strappando dal fondo il corallo che rimaneva imprigionato nelle reti.
I pescatori allineavano poi, le loro barche nel tratto che dalla porte Serisso andava al forte di S. Francesco, dopodiché essi scaricavano il carico che veniva distinto in due colori: il “carbonetto” di colore rosso cupo e lo “squallo”, più pregiato, di colore rosso pallido, poi il corallo veniva venduto ai fabbricanti e agli artisti.
Presso i fabbricanti (I primi furono ebrei), il corallo veniva pulito e lavorato, e poi venduto agli orefici e alle ricamatrici, che realizzavano paramenti sacri.
Nel 500 spicca il nome di un meccanico trapanese, Antonio Ciminello che inventò il bulino, uno strumento utilizzato per l'incisione del corallo.
Grazie all'invenzione di questo strumento il corallo fu utilizzato nella produzione di preziose opere d'arte come Madonne, Santi, Crocifissi ecc...
La maggior parte dei maestri corallari si dedicarono alla lavorazione dell'avorio, dell'alabastro, della conchiglia, delle pietre dure come i cammei.
Ancora oggi la lavorazione del corallo rappresenta un mestiere antico che non vuole morire.

Topografia e Toponomastica

Diminuita nel 1374, a causa di una grave carestia, la popolazione trapanese incominciò ad aumentare e alla fine del XV sec. era gia arrivata a 5.000 abitanti.
Originariamente di forma quadrata Trapani acquistò nel corso dei secoli una forma irregolare; le mura, che definivano i suoi confini, correvano lungo l'attuale via XXX Gennaio, dove la cinta muraria la separava dall'entroterra, da quest'ultima era divisa grazie ad un fossato e poco dopo da un canale navigabile che univa il mare di tramontana con quello di mezzogiorno.
Stemma della Città di TrapaniDalle mura poi si estendeva un promontorio che successivamente, nel XIII sec., venne colmato per la costruzione di due grandi arterie, la Rua Nova (attuale via Garibaldi) a nord e la Rua Grande o Magna (attuale corso Vittorio Emanuele) ad Ovest.
La difesa della città era poi affidata alle cinque torri, rappresentate anche nello stemma del Comune, esse erano: Torre Pali, Torre Vecchia, Torre di Porta Oscura, Torre Peliade (Colombaia) e la Torre del Castello di Terra.
L'accesso all'esterno era concesso attraverso le porte che si dislocavano lungo il percorso delle mura, a levante: Porta nuova (quasi di fronte alla via Mercè) e Porta vecchia (vicino il Castello di Terra), munite di ponte levatoio; a mezzogiorno: Porta grande “ di lu Casalicchiu” (denominata poi Porta Gallo), Porta di “lu Palazzoctu” (chiamata poi Maria SS. delle Grazie o dei Pescatori), Porta di “lu Comuni” (all'ingresso di via Torrearsa), Porta Regina (chiamata anche Porta Lucadella), Porta di “S. Antonio di lu portu” (attuale arco dei Pescatori), situata vicino la dogana, e Porta Serisso; a ponente: Porta di “la Turri di S. Antonio di lu Palazzu” (alla fine di corso Vittorio Emanuele); a tramontana: Porta “Putichella” (di fronte Porta Serisso), Porta di “lu Pannizzaru” (tra l'ex chiesa di S. Giovanni e quella del Carmine), Porta di “la Bucchiria” (chiamata Porta Felice, a piazza Mercato pesce).
Re Alfonzo, a causa delle frequenti incursioni barbariche ordinò la chiusura di tutte le porte sia di giorno che di notte.
La città si presentava divisa in tre rioni: Rione del Casalicchio, Rione del Palazzo, e Rione di Mezzo, questi erano a loro volta divisi in contrade.
Fuori dalle mura si trovavano numerosi quartieri tra cui: Fontanelle, Pizzolungo, Rigalecta, Dattilo, Ruccazzu, Inici, e inoltre a levante si trovavano orti e giardini e il cimitero degli Ebrei, situato dove oggi si trova il palazzo della Provincia.
Nel Quattrocento sorsero cinque chiese, un convento, e quattro cappelle.
La Confraternita dei lucchesi costruì nell'area dell'ex Consolato francese la chiesa dedicata all'Arcangelo, l'edificio sacro appartenuto precedentemente alla Compagnia del Gesù, subì alla fine del 600 un ingrandimento e vi furono conservati i gruppi dei Misteri.
Quasi contemporaneamente sorsero le chiese: di S. Maria di Monserrato, sita in via Garibaldi, la chiesa di S. Margherita, sita in via delle Orfane, la chiesa dedicata a S. Giuliano, che nel 500 prese il nome di Maria SS. della Luce, e la chiesa edificata dai padri francescani osservanti.
Per le cappelle invece troviamo quelle dedicate a S. Giorgio (nei pressi del Castello di terra), alla S. Croce (fuori le mura), a S. Giacomo Xitta (nella via omonima) e a S. Maria della Gurgia (tra la Carrara e via Aperta).

Il Cinquecento


Morto Ferdinando il Cattolico (1516) in Sicilia il trono passò al nipote Carlo V che si trovò a governare un vastissimo impero sino al 1556 quando subentrò Filippo II (1556-1598).
La politica spagnola fu caratterizzata da una tendenza verso la conservazione del regno, i vicerè ebbero il compito di mantenere tranquillo il viceregno, tutelando contemporaneamente i privilegi reali; essi si occuparono inoltre di curare le difese del territorio a causa delle frequenti incursioni da parte dei corsari e dei Turchi.
Il 500 vide inoltre il Mediterraneo passare in secondo piano rispetto all'Atlantico, la Sicilia e soprattutto Trapani, come città portuale, iniziò la sua parabola discendente cedendo prestigio al porto di Palermo, più grande e meglio organizzato.
Alla riduzione dell'economia siciliana, dovuta alla politica spagnola, che ne impedì l'espansione, si contrappose tuttavia un generale benessere economico della città, la quale si arricchì grazie al corallo e alle industrie del sale e della pesca.
Per risollevare le sorti dell'economia cittadina si ricorse alle industrie tradizionali del tonno e del sale, l'incentivazione delle saline determinò inoltre la fondazione di Xitta, borgo sorto nel 1504 per la residenza della manodopera impegnata nella lavorazione del sale.
Per incrementare l'economia oltre ai dazi, riscossi dallo Stato attraverso le Secrezie (organi della regia Corte, che amministravano il patrimonio demaniale, soprintendevano a tutta al materia dei tributi e appaltavano gabelle e dogane) furono istituite le gabelle, che venivano imposte dall'Università per eliminare le spese sia straordinarie che odierne e, adempiendo agli obblighi delle “soggiogazioni”, ovvero i prestiti a cui la magistratura era costretta a ricorrere in caso di rifornimenti per un imminente periodo di carestia; molti di questi prestiti erano offerti dalle chiese, dalle famiglie nobili o dai conventi.
A causa della cattiva gestione del denaro da parte dei rappresentanti e per le ingiustizie delle tassazioni, i trapanesi denunciarono soprusi ed evasioni, ma a nulla valsero le proteste.
Il governo infatti, decise di intervenire con la forza così, quando il popolo insorse nel XVIII sec, il vicerè di Lignè fece soffocare nel sangue la ribellione.
La precaria situazione agraria fu ulteriormente aggravata in seguito la chiamata alle armi di gran parte della popolazione; particolarmente gravi furono le carestie di quegli anni che seminarono numerose vittime nella città.
Le frequenti incursioni dei pirati e dei Turchi produssero, nel corso del 500, un prevalente interesse nel rafforzare ulteriormente l'assetto delle città e delle strutture difensive del territorio.
Proprio per questo fu costruito un efficace sistema di torri di avvistamento lungo tutto il litorale dell'Isola (punto di partenza era la torre della Colombaia) che consentisse di diffondere un immediato allarme in caso di attacco.
Carlo V, nell'agosto del 1535, definì Trapani “chiave del regno” e dispose che fosse ben fortificata e custodita; il reale sostò a Trapani circa due settimane con parte della sua flotta e alloggiò nel palazzo dei Chiaramonte, l'odierno edificio laterale della chiesa di san Nicola dove fu collocata un'effigie marmorea dell'imperatore sormontata dalla corona.
La ristrutturazione delle difese di Trapani si concentrò principalmente sul castello di Terra, sulla cinta muraria con particolare riguardo al fronte di levante rivolto verso la terraferma, e sull'avamposto a mare della Colombaia.
Nel 1518 il Moncada venne rimosso dalla carica e gli successe il viceré Pignatelli che iniziò le prime opere con rudimentali bastioni costituiti da terra e fasci di legna.
In quegli anni fu smantellata l'antica chiesa di S. Antonio del Mare, facile preda del nemico e punto privilegiato in caso di assedio.
I lavori di fortificazione della città iniziarono dalla parte di terra, dove venne costruita davanti alle vecchie mura ormai demolite, una cortina terrapienata che collegava il nucleo del castello di Terra al bastione dell'Impossibile, chiamato così per le difficoltà che si incontrarono durante la fase esecutiva dei lavori a causa delle pessime caratteristiche del terreno di fondazione.
MURA DI TRAMONTANAA tramontana fu creata una lunghissima scogliera che fungeva da barriera contro un eccessivo avvicinamento nemico.
Gran parte delle strutture difensive della città furono ideate dall'ingegnere Ferramolino, inviato dal viceré Pignatelli, la cui opera continuò anche sotto il viceré Gonzaga (1535-1547).
Allo stesso ingegnere appartiene il progetto di un largo fossato che separava nettamente la città dalla terraferma e dei due grosse torri merlate a difesa del contromuro del castello, sempre a lui si deve la ricostruzione del muro di tramontana.
La sostituzione dei rudimentali baluardi in legno, eretti pochi anni prima, con i nuovi bastioni in muratura completava il disegno difensivo.
Gonzaga venne sostituito dal viceré Giovanni de Vega, il quale fece completare lo scavo del fossato di levante e costruire il ponte per consentire l'accesso alla città; fu quindi necessario aprire una nuova porta in corrispondenza del ponte, mentre la vecchia entrata, ossia la porta Austriaca, (detta così perché vi transitava l'imperatore Carlo V) fu utilizzata per il passaggio dei carri in periodo di vendemmia.
De Vega lasciò il governo nel 1557 a Giovanni Della Cerda che governò sotto Filippo II, figlio di Carlo V abdicato.
Il governo di Della Cerda fu afflitto dalle carestie, egli ebbe inoltre il torto di dare troppa libertà ai suoi ministri che ne approfittarono per governare dispoticamente e fanaticamente.
Si avvicendarono poi nell'alto incarico vicereale: Garzia de Toledo (1565-1568) e Ferrante Avalos de Aquino (1568-1571).
Quest'ultimo aveva disposto un singolare progetto di ingrandimento della città che prevedeva un ampliamento dell'area urbana ma che però non ebbe attuazione per l'eccessiva spesa che avrebbe comportato.
Nell'anno 1571 si ebbe la battaglia di Lepanto che segnò un evento importante per il mondo cristiano.
Nel 1573, per ordine di Filippo II, don Giovanni d'Austria, suo figlio, organizzò una spedizione contro Tunisi e partendo da Messina passò da Marsala dove ordinò di colmare il porto per renderlo inaccessibile ai Turchi.
Se la Sicilia riuscì ad evitare l'invasione ottomana non poté fare altrettanto contro il flagello della peste che l'afflisse negli anni 1575-1576.
L'annoso problema della difesa della città venne ripreso dal vicerè Diego Enriques, (1585-1591) il quale inviò a Trapani il prefetto reale l'ingegner Vincenzo Locadello, che apportò una radicale modifica della struttura difensiva orientale prosciugando il fossato che per altro risultava già per la maggior parte interrato, per cui venne rimosso il ponte con la relativa porta e fu riaperto l'antico ingresso che prese il nome di Porta d'Austria.
Lo stesso viceré ebbe il merito anche di aver superato con diligente e solerte opera la carestia del 1586 poiché provvide in tempo a creare riserve di viveri e a combattere il mercato nero del grano.
All'imperatore Filippo II successe, nel 1598, il figlio Filippo III.
Trapani nel 500 dovette contare non meno di 10.000-12.000 abitanti, tale aumento demografico fu dovuto al processo di industrializzazione e alla presenza di molti militari.
Questo favorì di conseguenza l'incremento edilizio: nuove costruzioni sacre e civili sorsero nei quartieri del Palazzo (San Lorenzo) e di Mezzo (San Nicola); sorse un altro fondaco in contrada detta dell'Orologio (nei pressi di palazzo Cavarretta).
Per comodità dei cittadini si aprì a mezzogiorno un'altra porta detta “porta maris o di san Giacomo della disciplina” (dove sorge l'attuale edificio della Dogana) che però fu considerata superflua in quanto indeboliva la difesa della città.
Una fedele testimonianza del forte assetto di Trapani alla fine del 500 è una carta conservata nell'archivio di Simancas.

DREPANUM

Essa raffigura il canale che divideva l'abitato dalla terraferma e la cinta di muraria con i nuovi bastioni.
Comunque la veduta di Trapani del Braun, stampata ad Amsterdam nel 1585, si inserisce nella cultura dei grandi atlanti cartografici che si andavano diffondendo in quel periodo.
Questa carta ha costituito fino alla metà del Settecento un modello di repliche.
LA CITTÀ DI TRAPANI IN SICILIASempre degli ultimi anni del 500 è la pianta prospettica intitolata La Città di Trapani in Sicilia stampata da Giovanni Orlandi, essa raffigura ancora il ponte che collegava la città alla terraferma, smantellato poi durante il viceregno del conte d'Alba de Liste in seguito al prosciugamento del canale.
La pianta, corredata da una leggenda in dialetto, che fa pensare ad un disegnatore locale, rappresenta il primo documento cartografico con indicazioni toponomastiche.
I caratteri stilistici delle realizzazioni cinquecentesche della città presentano un linguaggio ancora legato alle influenze spagnole.
A Trapani come nel resto della Sicilia, i modelli del Rinascimento italiano giunsero in ritardo; testimonianza ne è il palazzo Ciambra con le bugne diamantate che rivestono le pareti della torre, nelle finestre e nei portali riccamente decorati.
Il palazzo, chiamato comunemente la Giudecca perché sito nel quartiere degli ebre, presenta anche timidi elementi Rinascimentali.
L'attenuarsi degli influssi spagnoli viene documentato dal prospetto del palazzo Nobili, in piazza S. Francesco di Paola, il quale mostra l'adesione allo stile del Rinascimento italiano.
Delle costruzioni civili cinquecentesche restano prevalentemente le architetture dei portali riconducibili ad un unico schema basato su un'ampia cornice, a tutto sesto con differenti modanature, posta ad inquadrare il portale tramite una raggera di lunghi conci, ora lisci ora cuneiformi.
Tra i palazzi nobili sorti in questo secolo ricordiamo quello della famiglia Staiti, in piazza Matteotti, ed il palazzo del barone Xirinda, all'inizio di via Garibaldi.
Anche nell'architettura religiosa si trovano elementi di puro Rinascimento ma esclusivamente nella parte decorativa.
Risponde a questi canoni la cappella della Trinità, nel monastero della Badia Grande, nella cappella dei Marinai del santuario dell'Annunziata e nella cappella di S. Maria degli Angeli in S. Maria di Gesù.
La Chiesa del Carmine mostra invece una netta adesione al linguaggio rinascimentale.
Molti furono gli ordini religiosi che nel corso del 500 giunsero in città: nella prima metà del secolo i padri francescani osservanti già stabilitisi nell'antica chiesa di S. Maria dei Greci ebbero poi l'ordine di abbandonare quel luogo poiché l'area sarebbe stata occupata dalle nuove strutture militari; in cambio ai padri vennero date le case appartenute al consolato dei veneziani.
Nella zona dei padri zoccolanti fu eretta la caserma degli Spagnoli dimora fissa dei soldati.
I padri cappuccini giunsero invece a Trapani nella metà del secolo e si stabilirono fuori le mura in un convento detto “Luogo Vecchio”.
Lontano dal centro si erigeva il convento di Martogna appartenente alla compagnia degli scalzi al seguito di padre Giacomo da Gubbio, questo fu sottoposto poi alla regola del terz'ordine francescano.
CHIESA DELLA BADIA GRANDEGli stessi frati occuparono inoltre alcune case dell'oratorio nei pressi dell'ospedale S. Antonio costruito durante il periodo delle epidemie e intitolato a S. Rocco.
Sempre per iniziativa di Giacomo da Gubbio vennero costruite in città alcune strutture assistenziali femminili: il monastero della SS. Trinità, detto Badia Grande, esso era destinato alle vedove che diventavano suore di terz'ordine francescano; una casa di Carità per accogliere ed educare le orfanelle; il conservatorio delle Convertine, destinato alla redenzione delle meretrici.
Accomunati da un unica missione i tre edifici si trovavano nel quartiere di Mezzo, nei pressi del convento di S. Domenico.
Nella seconda metà del Cinquecento arrivarono a Trapani i frati francescani che si stabilirono nelle case vicine alla chiesa di S. Michele, e nell'ultimo decennio arrivarono i padri carmelitani che iniziarono a costruire una gancia vicino alla porta Felice.
Tra le cappelle e chiese che sorsero a Trapani nel Cinquecento troviamo: S. Pancrazio, dedicata poi a S. Giuseppe, essa sorgeva di fronte all'attuale biblioteca Fardelliana; S. Eligio, sita nell'omonima strada; S. Nicolò da Tolentino, ubicata nell'odierna piazza della Repubblica; S. Spirito, eretta tra via Libertà e corso Vittorio Emanuele; S. Antonio adiacente all'omonimo ospedale; Maria SS. di Custonaci, ancora oggi la troviamo sull'omonima strada; S. Matteo, in via Barone Sieri Pepoli, oggi adibita a sala cinematografica.
Nel XVI sec. furono potenziate le strutture di servizio, sopratutto quelle assistenziali; infatti data al vicinanza di Trapani alle coste africane, essa ebbe l'incarico, durante la guerra di Tunisi, di accogliere e assistere i soldati feriti, di conseguenza l'ospedale di S. Antonio fu allargato e quello di S. Sebastiano fu dotato di magazzini.
Nel 1542 fu creata la costituzione del Monte di Pietà, ideata per soccorrere i bisognosi della città, essa aveva sede in alcuni locali dell'ospedale di S. Antonio.

 

Appello

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